La città e le sue mura incerte – Haruki Murakami – Einaudi – Collana: Supercoralli – Traduzione di Antonietta Pastore
Dalla quarta di copertina: «Diciassette anni lui, sedici lei, il primo amore, il tempo di un’indimenticabile estate. Tra passeggiate lungo il fiume o in riva al mare, speranze sussurrate su una panchina e sogni affidati alle righe di una lettera, lei gli racconta di una città circondata da alte mura: i ponti di pietra, la torre di guardia, un orologio senza lancette, una biblioteca. «La vera me stessa è lì che vive», gli dice la ragazza, e in quel luogo lui sarà il Lettore dei sogni. Poi, all’improvviso, lei scompare. La chiave per ritrovarla è quella città. Ma solo chi lo desidera con tutto il cuore potrà superare le sue mura.»
Il romanzo è diviso in tre parti e settanta sezioni. Le parti si ricongiungono come fiumi che si riversano tutti nel mare. La prima parte riguarda la ragazza e la vita di lui, che sarebbe anche il narratore di cui non conosciamo il nome. Il suo compito dentro la città è quello di leggere i sogni contenuti nelle uova, due/tre al giorno, per farlo ha dovuto rinunciare alla sua ombra e farsi ferire gli occhi dal guardiano . Nella seconda parte Il narratore, ormai adulto e che ha abbandonato la città dalle alte mura, lavora come bibliotecario capo della biblioteca della Città rurale Z. sulle montagne di Tohoku. Lì conosce il bibliotecario capo, Tatsuya Koyasu, incontra anche M. un misterioso ragazzo di 16 anni, lì si innamora di una donna. Nella terza parte tutto si conclude.
Lui ne ha diciassette e lei sedici, hanno cominciato a frequentarsi e a scriversi dopo essersi conosciuti perché entrambi avevano partecipato a un concorso letterario. Sono due adolescenti che si innamorano, lui l’accompagna a casa risalendo il fiume. “Sei tu che mi hai fatto scoprire la città. Una sera di quell’estate, risalivamo il corso del fiume pervaso dalla fragranza dell’erba. Ogni tanto superavamo piccole cascate, fermandoci a guardare i pesciolini argentati che vi guizzavano.” Lei ha dei sandali rossi che conserva in una borsa di plastica gialla per non bagnarli, le foglie le si appiccicano alle gambe.
La ragazza gli confida che lei non è reale e che la sua vera essenza vive in una città circondata da alte mura, dove fa la bibliotecaria. Per entrare in quella città bisogna staccarsi dalla propria ombra. In quella città non esiste il tempo, l’orologio della torre è senza lancette. La città è molto fredda, la gente veste con abiti lisi, molte case sembrano abbandonate da tempo, come una città morta abitata da morti, con un guardiano alla porta, delle mura che non si possono scalfire, ma mutano, in giro transitano degli unicorni. L’unicorno nella cultura giapponese punisce i malvagi con il suo unico corno, protegge i giusti e assicura loro la buona sorte. Solo gli unicorni possono entrare e uscire dalla città, una città in cui gli abitanti tentano di conservare i sogni di chi lì ha abitato, in un tempo nel quale, forse, la gente era viva e sognava. I sogni sono racchiusi nelle uova, la ragazza bibliotecaria li consegna al lettore che sembra avere il compito di schiuderli, di liberarli. In quale dimensione ci troviamo? Luogo di vita o di morte? Ci sono salici e glicini. C’è molto freddo, non ci sono le ombre, sono state strappate via, non esiste il tempo. Sembra un mondo di morte. Il calore è vita. La ragazza conforta e sostiene il lettore preparandogli ogni mattina, prima di iniziare il lavoro, una tisana calda con delle erbe speciali. La ragazza, che prima indossava dei sandali rossi, ora veste abiti cupi e grigi, incolori.
Nella seconda parte il narratore ormai adulto e che ha lavorato per anni nel mondo dell’editoria, cerca e trova un impego nella vecchia biblioteca di un paese sperduto che si chiama Z. Nella prima biblioteca si leggevano i sogni, in questa invece si leggono libri. Anche in questo paese c’è molto freddo, il ghiaccio ricopre le strade e ogni angolo della città. Qui il narratore incontra un personaggio, estremamente caratteristico e quasi tenero per il suo vissuto doloroso e per la sua sensibilità, il signor Tatsuya Koyasu. È il vecchio bibliotecario andato in pensione, è un uomo anziano molto particolare, indossa una gonna scozzese, una sciarpa scozzese, una calzamaglia nera, scarpe di tennis bianche e un basco azzurro. Gli incontri fra i due avvengono in una piccola stanza quadrata, con l’unica stufa a legna presente nel palazzo dove ha sede la biblioteca. La stanza viene riscaldata da questa stufa che viene accesa prima di ogni incontro dal signor Koyasu, il quale, come la bibliotecaria della città dalle alte mura, gli prepara una bevanda calda, per la precisione un the servito usando delle raffinate porcellane. In questa città il narratore incontra anche un ragazzo che ha la particolarità di saper leggere una enorme quantità di libri e che indossa una felpa con la stampa del Yellow submarine dei Beatles. Quest’ultimo a un certo punto della storia scompare senza lasciare traccia, così come svanisce il signor Koyasu.
I colori presenti nel romanzo sono il rosso dei sandali della ragazza, il giallo della sua borsa, il giallo del sottomarino del ragazzo, l’azzurro blu del basco, la gonna e la sciarpa scozzese, il glicine, il verde dei salici. Il giallo e il rosso sono colori caldi come il sole, simboleggiano la vita, il glicine nella cultura giapponese simboleggia l’amicizia, l’amore eterno e la longevità, Il Salice simboleggia la grazia e la resistenza. Tutto sembra essere utile per contrastare il freddo e la morte, i colori, il supporto e l’affetto dimostrato nella preparazione delle calde bevande, il conforto e l’importanza della lettura, della storia, del passato, delle testimonianze. Grande importanza hanno Il lettore dei sogni, le biblioteche, i vari bibliotecari, il ragazzo che legge interrottamente. Leggere il proprio essere, leggere per capire, analizzare il profondo, leggere ciò che è stato scritto o sognato, che forse è irreale o può anche essere vero e reale, nulla deve andare perduto o essere dimenticato. Attraversare il fiume della vita in un flusso che porta alla fine dell’esistenza, fra realtà e irrealtà, fra sogno e fantasia, fra viventi e fantasmi. Nella città dalle alte mura torna la primavera, il ragazzo Yellow submarine diviene ciò che vuole essere “Il vero lettore dei sogni”, il narratore incoraggiato dal ragazzo fa il salto e si lancia nel vuoto con fiducia, piomba nel buio, lui che è ombra si ricongiunge al suo corpo. Qual è la realtà? è quella che stiamo vivendo o stiamo vivendo nei sogni di un altro, stiamo uscendo da un uovo che si sta schiudendo grazie a un lettore a cui la visione della nostra vita gli sta causando un forte dolore agli occhi? La nostra vita vera è dentro o fuori la città, dentro o fuori l’uovo? Il percorso della nostra vita è già scritto o può mutare? Possiamo scegliere di lasciare la nostra ombra o riprendercela? Seguire ciò che crediamo sia vero amore o abbandonare la strada e saltare aldilà del muro. Risalire il fiume e andare contro corrente come i salmoni? Lasciarci trasportare dalle acque senza sapere la nostra destinazione finale, oppure aiutarci con la mappa della città a forma di rene che ha disegnato il ragazzo? Il rene che nella medicina cinese è l’organo dell’ energia ancestrale, che permette la vita dell’organismo, che è simbolo della potenza procreatrice e della capacità di resistenza dell’organismo. Quella città che sembra città di morte ma che invece è il luogo dove i sogni vengono liberati, dove gli uomini si fortificano, dove mutano e si muovono.
Le ultime sezioni della terza parte si chiudono con il buio. In questo romanzo niente è stato scritto per caso, ogni parola, ogni simbolo, ogni vicenda, fanno parte di un enorme puzzle che il lettore deve ricostruire per avere una visione chiara dell’insieme. Che io però, mio malgrado, credo di non avere. Anche se penso che a volte la verità sia più semplice di quella che crediamo. Probabile che il protagonista/narratore sia arrivato alla fine della sua vita, che ci abbia semplicemente raccontato il suo percorso, il suo amore adolescenziale, il suo lavoro, l’amore per una donna più matura, il calore dell’amicizia, la sua passione per la lettura, per la natura, il suo amore per la vita, la sua morte.
Dove sta la verità? resta un mistero, i confini fra il reale e il sogno sono incerti come le mura di quella città, incerti fra il vero e mera rappresentazione del vero. Murakami però è così abile nella costruzione dei personaggi e di quel mondo irreale che mi sembra di conoscere da sempre il signor Koyasu, come fosse realmente esistito, al punto che provo per lui ammirazione e dispiacere per ciò che ha vissuto e per il fatto che si sia dissolto nel nulla diventando evanescente, dispiacere per il fatto che sia svanito in un luogo dove non ha trovato quello che si aspettava, il ricongiungersi con i suoi cari. Penso a lui come fosse un amico scomparso. Murakami ci conduce in un mondo irreale ma dalle sembianze reali, dove tutto si muove e si spostano i confini, dove il tempo scorre lasciando dietro di se i rimpianti e le domande senza risposta ma l’orologio non ha le lancette, come accade viaggiando nello spazio alla velocità della luce, sulla terra il tempo scorre ma nella navicella si è fermato e può anche accadere di essere arrivati ancora prima di partire.
Dove si trova la verità? A questa domanda risponde l’autore nella postfazione del suo romanzo:
“In ultima analisi, la verità non si trova in un’immobilità fissata una volta per tutte, ma nel movimento costante – cioè nelle fasi di spostamento. Non consiste forse in questo il mistero della narrazione? Io ne sono convinto.”
Antonella Pizzo pubblicato su limina mundi