Era molto meglio prima, quando io non c’ero e non c’era nessuno dei miei fratelli, né i vivi né i morti. C’era solo mia madre che si rivoltava sul materasso del camerino e urlava: “Ammazzatemi, osta dla Madona” e la Fafina rispondeva: “Sta’ zeta ché chiami il Diavolo”, e andò avanti così per tre giorni e tre notti, finché mia madre lanciò un grido feroce e venne fuori Goffredo, il primo dei miei fratelli morti. Quando gli diedero lo schiaffo per farlo piangere lui non pianse, allora la Fafina scosse la testa e disse: “E’ segno che a Dio Cristo lassù gli bisognavo un angiolino”. Ne vedeva tanti di bambini nati morti, e quello era uguale a tutti gli altri, anche se era suo nipote. Mia madre la guardò avvilita. “Perché?” chiese. “Perché hai mangiato troppo cocomero. Il cocomero fa acqua nello stomaco e il bambino si è annegato, il purino”.
La vicenda si svolge in Romagna durante il ventennio fascista, una Romagna povera e arcaica, dove vige la superstizione e l’ignoranza, dove si va dal Zambuten per curarsi e fare figli usando il sangue del mestruo versato in un pitale d’argento.
“Dovete aspettare che vi venga il mestruo. Il primo mestruo dopo la bambina morta è quello buono. Dovete stare seduta su un pitale d’argento e raccogliere il sangue, quindi dovete farne bere dieci gocce a vostro marito, diluite nel Sangiovese. Dopo dodici giorni lui deve prendervi, e anche il giorno dopo e quello dopo ancora. Poi non dovete guardarvi più. Voi dovete dormire in un letto e lui in un altro. Vi nascerà una figlia che ancora addosso la scarogna, ma camperà.”
Nasce così la figlia che aveva previsto Zambuten che chiameranno Redenda. Redenta rappresenta il ventennio fascista, è nata il 10 giugno del 1924, lo stesso giorno della morte di Matteotti. Nasce a Castrocaro, in Romagna, da una famiglia modesta, il padre è Primo, un uomo mediocre, fa il guardiano e considera la guerra l’unico mezzo per riscattarsi, è una mezza tacca fascista e senza scrupoli. La madre è Adalgisa, vende lupini al mercato ed è una madre che partorisce figli morti. Redenta sopravvive ma, come aveva già avvertito Zambuten avrà pietà e la scarogna addosso. Redenta si ammala di poliomielite, la malattia le lascia danni permanenti alla gamba, lei la chiama la gamba matta. La babina non parla, sembra ritardata al punto che la chiamano inscimunita, la purina. La nonna Fafina fa l’infermiera e lavora fuori casa, per guadagnare qualcosa in più accoglie in casa degli orfani per denaro che chiamano i bastardi. Con gli affamati e terribili bastardi Redenta cresce, va d’accordo solo con uno di loro, Bruno. Fafina lo preferisce agli altri che sono dei selvaggi affamati e quasi lo considera suo figlio. Bruno è un bastardo diverso, è intelligente, si occupa degli altri bastardi, prepara loro da mangiare, li lava. Con Bruno la Redenta comincia a parlare. Redenta vive ai margini, ha uno sguardo laterale, parla con i fratellini morti. Bruno promette di sposarla ma invece sparisce nel nulla.
I giorni di Vetro del titolo sono i giorni del fascismo, giorni che sembrano non terminare mai, giorni invincibili, imbattibili, ma alla fine finiscono per essere sconfitti dal bene, da chi all’apparenza sembra insignificante, fragile, debole. Sono giorni in cui l’occhio fasullo di Amedeo Neri sostituisce l’occhio vero del bellissimo Amedeo Neri, soprannominato Vetro. Sono i suoi giorni, quelli di un angelo cattivo, un demone, bello, possente, un colosso. Il crudele e sadico gerarca fascista aveva perso il suo occhio in Africa durante una delle sue tante rappresaglie verso la popolazione locale. Il personaggio di Vetro è ispirato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani che durante il fallito attentato del febbraio del 1937 aveva perso un occhio. Graziani era denominato il macellaio di Fezzan, durante il periodo del colonialismo si è reso protagonista delle peggiori atrocità perpetrando stragi di massa contro intere tribù accusate di collaborare con i ribelli, uccisioni di donne, anziani e bambini, ha distrutto interi villaggi, ha confiscato risorse essenziali, come acqua e bestiame, ha fatto uso di armi chimiche. L’occhio di vetro è il vero protagonista del romanzo, è la violenza allo stato puro, quella violenza incapace di verità. Vetro è la rappresentazione del male assoluto, bello all’apparenza ma incapace di vedere e sentite, inerme e senza vita, uno zombie il cui scopo è quello di causare sofferenza e affermare il potere della malvagità. Di quell’occhio lui è quasi orgoglioso, lui è orgoglioso del male che sa fare, così come lo è della testa della donna africana mummificata. Nel romanzo si alternano due voci narranti femminili le cui storie si intersecano e trovano ragione di essere l’una nell’altra. Le due voci sono quella di Redenta e quella di Iris.
Iris non vive a Castrocaro ma a Tavolicci, dove storicamente nel luglio 1944, i nazi-fascisti italiani trucidarono 64 persone, fra cui 19 bambini di età inferiore ai 10 anni, donne e anziani. Le vittime vennero arse vive. I capi famiglia dopo essere stati costretti ad assistere al massacro, furono condotti in una località vicina dove furono torturati e poi uccisi. Le due protagoniste amano lo stesso uomo, Bruno, che diventa l’eroe Diaz, capo di una brigata partigiana capace di azioni esemplari. Nel contempo le due donne, che non si conoscono, sono vittime dello stesso carnefice, il crudele gerarca Vetro. Il nemico principale di Vetro è Diaz. Vetro sposa Redenta e ne fa la sua schiava sessuale. Vetro è un sadico violento che ama sopraffare le donne. Ha ucciso senza pietà, scaraventato bambini vivi nel fuoco, ha portato dall’Africa la testa di una donna mummificata che mette in bella mostra in camera da letto. Redenta subisce ogni violenza, ogni tortura, viene stuprata, viene picchiata e violentata con armi e pugnali, viene ferita e costretta ad assistere ai rapporti sessuali violenti che lui ogni sera ha con le prostitute del locale casino. Redenta subisce e non racconta nulla alla sua famiglia di origine. Per non rimanere incinta di Vetro, sa che se le nascerà una femmina vetro ucciderà la bambina perché vuole un maschio, beve ogni giorno un sorso di acqua con il piombo, non sa che l’ingestione di piombo è causa di grave, spesso fatale, avvelenamento. La resistenza fa da contraltare alla violenza e ci fa ben sperare che non tutto è perduto, che esistono gli eroi, che hanno paura come tutti, ma la generosità fa superare ogni paura, gli eroi sono le persone comuni che mettono a repentaglio e sacrificano la propria vita per gli altri. Nel ventennio fascista le donne avevano un ruolo di sottomissione e marginale, ma nelle cascine, nei campi, nella Romagna le donne sono quelle che hanno portano avanti le famiglie quando gli uomini erano stati richiamati o costretti a nascondersi, sono gli eroi della storia. Iris e Redenta, ciascuna a modo loro hanno fatto la resistenza. A volte gli eroi sono le persone meno insospettabili, le babine, le purine, le inscimunite, insospettabili eroi come la Redenta. Il romanzo è riuscito, aderente alla realtà storica, i personaggi indimenticabili, Redenta in modo particolare, ma anche quello di Vetro il cui nome è presente nel titolo del romanzo.
Antonella Pizzo già pubblicato su limina mundi
Nicoletta Verna è autrice di saggi e volumi su media e cultura di massa. Il suo romanzo d’esordio Il valore affettivo (Einaudi 2021 e 2024) ha ottenuto la Menzione Speciale della Giuria alla XXXIII edizione del Premio Italo Calvino. Nel 2024 ha pubblicato per Einaudi, I giorni di Vetro.