Rocco Scotellaro nove poesie
Rocco Scotellato Poesie
Avevi il colore della rosa
Quando facevi l’amore con me
avevi il colore della rosa.
Ora che ha sfatto l’amore con me
hai perso il tuo colore, stai malata.
Se hai da fare l’amore con me
prendi il colore dove l’hai lasciato.
Io l’ho lasciato sulla verde spina,
appena sboccia lo vado a pigliare.
La ginestra
Vergine col canestro, che ridai
la ginestra ai santi,
non si sentono pianti più muti dei tuoi:
che farà quella mano tesa d’argento
che sollevano a benedire la campagna?
Le fatiche, e le spighe e le viti in gola al vento,
s’aprirà ai morti la castagna?
O bella col canestro che canti e porti
ginestre ai vivi, ginestre ai morti.
Ce ne dovevamo andare
Tu non te ne volevi più andare,
contammo le luci dell’anfiteatro
deboli occhi attorno a noi.
Per i densi profumi della menta
levandosi dicesti:
– Lascia che guardi ancora questo posto.
E come lo dicesti
i capelli ti scesero sul viso.
Ce ne dovevamo andare
perché nascemmo altrove
sotto le mura di cinta lontane
di due sante cittadelle.
Il suo carcere spettava ad ognuno,
ad ognuno il suo vagone
ci portarono in traduzione.
A Rimini campo neutro
crescemmo il nostro amore
Dove i putti del tempio
ignari si toccano i nudi
sul mare turchino.
Nelle tue piane del Nord
dove ti sei fermata?
A chi risolvi la tua gioia di amare?
Io mi sono lasciato andare
nei sentieri affondati dai carri.
Ora noi ci parliamo tra le sbarre.
Io me ne devo andare
Io me ne devo andare
tu guarderai nella fitta
aria gialla che sorge
dal torrente Parma
e poi passerai avanti.
Io ero uno
degli uomini che sanno
donare, tu eri
le donne guardinghe
che temono di essere rubate.
Per una donna straniera che se ne va
Più che una donna
d’una donna che se ne va
nemmeno questa pioggia triste,
nemmeno il rantolo che non si sente
del pastore solitario nei lentischi,
e non i fischi del vento
nella brughiera, da dove ci parlano
le nostre anime stracciate
Più vorticoso è il mio malanno
della foglia sbattuta dell’autunno.
Se tu non m’avessi neanche guardato,
alta come sei passandomi vicina,
oggi non soffrirei le fitte al cuore
Se tu non fossi oltre passata nella folla,
oh il cane vagabondo
non baciava la sua piaga con la lingua.
Se non ti fossi arresa così presto
presa dal gioco dell’ombra
– e tu guardavi forse cadere
le stelle nelle tue terre lontane –
oh il pastore non avrebbe
suonato così lungo.
Perché si chiudono tra noi i cancelli
volano ciechi ancora i pipistrelli.
Una dichiarazione di amore a una straniera
Silvia, sei venuta nel tramonto
che tenere dita di luce
accarezzano i tetti infranti,
non ti ho saputo dire una parola.
Senti le nostre donne
il silenzio che fanno.
Portano la toppa
dei capelli neri sulla nuca.
Hanno tutto apparecchiato
le mani sul grembo
per l’uomo che torna dalla giornata.
Silvia vuoi coricarti con me?
tanto buio s’è fatto tra di noi,
vedi, che fingono le nozze
anche i fanciulli raccolti negli spiazzi.
Verrò tirando il mulo carico
degli aratri di ferro,
ti porterò gli odori della terra
incollata alle mie scarpe.
Vuoi sollevare per favore il sacco,
accendere il cerogeno
minuscolo sul lare,
vuoi quieta lasciarti prendere, amare?
Le nostre donne allora sono in vena
i giorni d’altalena in mezzo ai boschi.
IO MI SENTO L’AUTUNNO
Aria spezzata
del focolare in disparte
con poca cenere,
i vetri anche tacciono
le cose che si muovono fuori,
dove screziato un muro s’erge
e gli embrici rabbuiati
hanno l’estrema cura
d’una parola,
farebbero canti ancor gli uccelli
o nell’ebbrezza d’un sole d’estate
riportato un albero,
intonerebbe lievi le mosse
dei rami frondosi e…oh…ma
io mi sento l’autunno
infiltrato nelle case basse
e già scende su dai poggi
come la tela di fine atto
con un brivido
sull’attonito spettatore.
Ottobre 1943
RICORDI
Ho le mie mani legate
a un ramo secco e le foglie
sono ingoiate nell’asfalto.
Ho atteso di succhiarti,
mandorla vizza
sepolta ai piedi del vecchio tronco.
D’un tratto di queste sere
nelle silenziose campagne
ponente crollerà sui fili rotti,
le nubi scenderanno alle finestre
e noi andremo in cerca di un tizzone
per ritrovarci nelle strade buie.
L’UOMO
L’uomo che vide suo padre calzare
gli uomini e farli camminare
imparò da quell’arte umile e felice
la meraviglia di servire l’uomo.
L’uomo che crebbe nell’esule villaggio
imparò il coraggio di farsi riconoscere
e di crescere non lontano dai potenti della terra.
L’uomo che seppe la guerra e le lotte degli uomini
imparò dal fascino della notte
il chiarore del giorno.
Quell’uomo muore. Attorno attorno
alla ceppaia gigantesca che è
agili frullano i vivai che piantò nel mondo.
Ogni uomo che dà agli uomini amore profondo
e il pane e le scarpe e le case e le macchine
può dire chi era Stalin e la ragione del mondo.
***
Si segnala
Tu sola sei vera
La collana «Interno Novecento», grazie alla preziosa curatela di Franco Arminio, porta in libreria i versi del poeta lucano Rocco Scotellaro. Un viaggio nella lingua e nella vita di un uomo che non è mai stato un poeta da salotto, ma “un cuore che forse si è spaccato perché ha preteso di raccogliere in sé tutto il dolore del suo popolo”. Come descrive Arminio nella sua attenta introduzione, nel poeta di Tricarico ci sono versi “bellissimi e vivi, di una bellezza e di una vita che non aveva arroganze, ma fatiche e affanni e piccoli stupori a cui non si poteva dare molto spazio. Uno spazio, una risonanza che possiamo dare noi; in fondo abbiamo una fortuna: possiamo goderci queste poesie più di chi le ha scritte”.
Autore: Rocco Scotellaro
Curatore: Franco Arminio
Collana: Interno Novecento
ISBN: 9791281315129
Data di pubblicazione: 11 gennaio 2024
Pagine: 148
Formato: 13×19 cm
Rocco Scotellaro da https://www.treccani.it/enciclopedia/rocco-scotellaro/
Scrittore (Tricarico 1923 – Portici 1953). Di umile origine, socialista, fu sindaco di Tricarico dal 1946 al 1950, quando fu arrestato sotto l’infondata accusa di irregolarità amministrative; in seguito, grazie all’intervento di C. Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici diretto da M. Rossi Doria. Trasse dalla sensibilità ai problemi sociali della sua terra motivi per alcune opere comparse postume: l’inchiesta Contadini del Sud (1954), il romanzo autobiografico incompiuto L’uva puttanella (1955) e una serie di poesie (È fatto giorno, 1954) nelle quali, muovendo dai modi elegiaci dell’ermetismo, tende a un tono epico-popolaresco, con esiti pieni di dissonanze, ma di indubbia genuinità lirica. In seguito sono stati pubblicati il volume di racconti Uno si distrae al bivio (1974) e la raccolta di versi Margherite e rosolacci (1978). Nel 2019 la sua intera produzione letteraria è stata raccolta nel volume Tutte le opere. È uscito a cura di Franco Arminio, edito da Interno poesia il volume Tu sola sei vera.