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Mandorle un racconto di Maria Messina

Mandorle un racconto di Maria Messina

 

Mandorle da Ragazze siciliane di Maria Messina
Le buone notizie portate da Michele avevano consolato le signorine Fiorillo che nella raccolta delle mandorle (ora che le prime raccolte potevano dirsi fallite), mettevano ogni speranza.
Marianna aveva proprio deciso di andare a Catania a farsi visitare da un oculista: un po’ per via dell’età, un po’ per via della fatica, non ci vedeva quasi più e gli occhiali comprati in paese, senza misura, le facevano dolere gli occhi. L’avrebbe accompagnata Bettina, la più giovane delle tre sorelle. Angela, al solito, s’era già rassegnata a restare a casa, ché lei, per le sue gambe eternamente enfiate, temeva di dare più impiccio che aiuto. Andare in città era, per gli altri, un avvenimento quasi naturale. Persino la maestra Facciolà, che non poteva dirsi ricca, vi era stata due volte! E la moglie del segretario vi correva ogni primavera per farsi le vesti nuove.
Ma le signorine Fiorillo contemplavano sempre con una specie di spavento le spese del viaggio. Quando non si può, non si deve. Se loro tre non avevano mai fatto cattive figure, se stimate da ognuno, ricevute nelle migliori case, come al tempo che era vivo il padre, lo dovevano solo all’accortezza e all’economia di Marianna.
Mentre due donne mondavano, Marianna e Bettina, in sottana e ciabatte, davano una mano anche loro per sbrigarsi e non pagare troppe giornate. Come le mandorle furono ammucchiate a montagna, nel magazzino, cominciò il va e vieni dei sensali, dei compratori.

Pareva si fossero data la voce: guardavano, poi offrivano un prezzo derisorio che non meritava neppure si rispondesse.
— Torneranno — assicurava Bettina, convinta, mentre Michele e la serva chiudevano la porta del magazzino.
Non tornava nessuno. Gente nuova non se ne presentò più. Alle Fiorillo restò il pericolo di tenersi le mandorle dentro il magazzino, come un tesoro inutile.
Si presentò Giovanni, il sensale vecchio.
— Io ve l’ho detto — esortò. — Afferrate il guadagno: poco ma certo!
— Afferrare il guadagno? — esclamò Marianna. — Afferrare il guadagno? Come fossero mandorle rubate!
— Contentatevi! — replicò Giovanni. E questa volta ha guardato Marianna con un’espressione che voleva domandare:
— Che aspettate? Non vedete che è finita?
— Insomma! — fece Angela. — Mi pare che padrone della nostra roba siamo noi.
— Padronissime — ripeté Giovanni avviandosi verso l’uscio. — Ma i giornali non li legali? Non sapete che c’è la guerra?
I giornali: sì, li leggevano. La guerra: sì, avevano letto che in altri paesi, lontano, era scoppiata la guerra, il primo giorno di agosto.
Ma che c’entrassero le mandorle, veramente…
— Non ci confondiamo — fece Marianna saggiamente.
— È forse nei nostri paesi, la guerra?

E andarono a far visita alla signora del segretario per avere qualche lume.
—Vendete! — consigliò il segretario. — Vendete e ringraziate chi compra. Fosse frumento!
E siccome le Fiorillo lo guardavano tra sorprese e sdegnate, annunciò solennemente che l’Italia stava per «muoversi». Sgomitolò quel poco che sapeva, quel molto che aveva leggiucchiato sui giornali, ripetendo ogni momento parole grosse, parole difficili: «commercio paralizzato», «coalizione», «conflagrazione»…
Se ne andarono stordite, moge moge. Di tutta quell’eloquenza (una volta entrato nell’argomento il segretario non sapeva più uscirne, come una mosca impigliata nella tela di ragno), di tutto quel fraseggiare, non avevano afferrato altro che le mandorle, quell’anno, non valevano
niente.
Angela mormorò, posando il cappello:— Come gli è mai venuto in mente, al Kaiser…
Ma si interruppe, stupita delle sue stesse parole. Ora parlava anche lei dell’imperatore come di un conoscente…
Dopo aver molto discusso fra di loro, le Fiorillo decisero di perdere delle mandorle. Il vendettero.
— Ci hanno frodate — osservò Marianna con amarezza.
— E quest’anno dobbiamo comprare l’olio.
— E pagare il focatico — aggiunse Angela.
Cominciò a piovere: pioggerelle minute minute e continue, che fanno chiudere le finestre e mettono malinconia dentro la casa.

Nei lunghi silenzi (lavoravano tutte e tre nel salottino, e il gatto dormiva con un occhio, e il cardellino in gabbia cantava adagio adagio come se si lagnasse) le Fiorillo pensavano che l’inverno era cominciato e la miseria avrebbe picchiato all’uscio. Altro che andare a Catania! Sempre alla stessa ora, Bettina leggeva forte il giornale, da cima a fondo, senza saltare una colonna. E dopo aver sentito il giornale non osavano rammaricarsi delle strettezze domestiche.
— Ma così non possiamo durarla! — mormorava Marianna, la sera, mentre il primo scuro scendeva come un velo grigio.
Bettina cominciò a sentir pesare su di sé una oscura responsabilità.
Forse toccava a lei essere utile alle sorelle.
La serva l’avevano licenziata; vesti per l’inverno non se ne facevano; a tavola si mangiava solo la minestra…
Non bastava.
Una mattina, rimettendo in ordine certi cassetti, ritrovò un pacco di còmpiti, legato in croce. Sfogliò quasi meccanicamente
le pagine sciupacchiate; e fu come se qualcuno le avesse parlato, con tono sommesso. E Bettina,
trasognata, parve ascoltare la voce dei ricordi.
Ricordi del tempo non lontano, di quando studiava sola sola, con la guida d’una vecchia maestra, amica di casa, mentre tutti la canzonavano dandole della «dottoressa».
Stavano bene, allora: i genitori vivi, Boscogrande non ancora venduto, tre libretti alla Cassa di Risparmio e niente paure di guerra, di epidemie, di miseria.
— Ti pare che io ti lasci fare la maestrina! — esclamava il padre, se la vedeva con un libro in mano. E non le permise mai di andare in città, per fare gli esami di patente. Lei voleva studiare per vocazione, per non somigliare alle sorelle che sapevano appena scarabocchiare la firma…
Ah! papà, se tu avessi saputo! Si scosse. I capelli erano ancora neri, la persona ancora giovane e forte; pensò ad Angela che aveva i capelli grigi; a Marianna che aveva i capelli bianchi e non ci vedeva e le mani le tremavano.
Toccava a lei. Che anche la sua giovinezza non si disseccasse del tutto, inutilmente, come una pianta sterile. Avrebbe insegnato a leggere ea scrivere ai bambini; avrebbe insegnato bei lavori d’ago alle fanciulle. Piaceva alle signore del paese mandare i figli a imparare, in casa di persone per bene. Ma si accasciò ai propositi, fatti – così – all’improvviso,
riaprendo un pacco di quaderni dimenticati…
La maestrina Fiorillo… l’avrebbero chiamata la maestrina Fiorillo… Anche la Facoltà, sino allora sottomessa, l’avrebbe guardata con aria d’indulgenza. Forse la moglie del segretario l’avrebbe disprezzata. Forse la marchesina Mauri avrebbe evitato di sedersi vicino a lei, in
chiesa. Pianse: come se con i propri disegni fosse per distruggere tutto il piccolo mondo di meschine ambizioni nel quale era vissuta. Pianse. Ella non poteva ancora vedere la nuova luce che stava per purificare ogni lavoro onesto.
No, ella non sapeva che la sua giovinezza sarebbe stata bella, domani, solo perché offriva a qualcuno.
Falso orgoglio, piccole relazioni sociali fra gente piccina e vanitosa, mondo di cartapesta, mondo da burattini, che, domani, la guerra avrebbe travolto…
Ma Bettina non sapeva: sentiva solo, dentro di sé, intorno a sé, potenti e ignote forze che la spingevano all’azione. Si asciugò le guance. Passeggiò un poco per la stanza, per ripigliare un aspetto più sereno. Sentì il mormorìo sommesso di Marianna, nella camera attigua; pregava sempre, a quell’ora. Marianna non avrebbe approvato subito. Ma Bettina si fece animo, deciso, ed entrò nella camera.
— Senti — cominciò a dire, con la voce un po’ arrochita,
— ho riflettuto a una cosa molto giusta…

L’autrice

 

Maria Messina, nata a  Palermo  nel 1887 da un padre ispettore scolastico e una madre di nobili origini. Tuttavia, Maria trascorse la giovinezza nella città di Messina e viaggiò molto tra Centro e Sud Italia, dato che il padre si spostava spesso per lavoro.

Per sua fortuna, soprattutto considerando l’epoca in cui visse, non trovò nella famiglia un ostacolo per la sua carriera letteraria: anzi, Maria fu incoraggiata dal fratello a seguire questo cammino che la portò persino ad iniziare una  corrispondenza epistolare con Giovanni Verga  nei primi anni del Novecento. Inoltre, anche per Maria la Sicilia rappresenterà un elemento caratteristico della sua scrittura, concentrandosi in particolare sulla condizione delle donne nell’Isola. Tra le sue opere si ricordano novelle, come  “Luciuzza”  e romanzi come  “Alla deriva” , oltre a numerose produzioni per l’infanzia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Messina

 

da wikipedia

La scrittura di Maria Messina si concentrò soprattutto sulla cultura siciliana, avendo, come temi principali, l’isolamento e l’oppressione delle giovani donne siciliane.Inoltre, la sua scrittura si focalizza sulla dominazione e sottomissione inerenti alle relazioni sentimentali tra uomini e donne. Uno dei suoi romanzi più conosciuti,  La casa nel vicolo , segnò un punto di svolta verso la descrizione delle condizioni psicologiche: nella sua narrazione, Messina descrisse l’oppressione delle donne come inevitabile e ciclica e, a causa di ciò, alcuni sostengono che lei non fu una femminista. Ciononostante, le donne che ritrasse furono la rappresentazione di potenti dichiarazioni di atteggiamento di sfida.

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