Invernale di Dario Voltolini
Invernale di Dario Voltolini
“La lattescenza del mattino. Ci sono mangrovie che piovono legno nell’acqua, fanno cattedrali che si specchiano in laghi senza trasparenza, sbarre che scendono e irretiscono tutta la scena in una geometria di gabbia. Ci sono aurore boreali che sventagliano nei cieli gelati come scogliere che disperatamente vogliono emanciparsi dall’assalto dell’oceano che sempre si muove, e allora ci divincoliamo anche noi scogliere, sempre ferme a reggere gli urti senza intelligenza della massa d’acqua, in alto nei cieli, festoni festanti, ci divincoliamo come sipari che non ne possono più di tutto questo cazzo di teatro.”
Pubblicato da La nave di Teseo, Invernale di Dario Voltolini, è stato candidato al Premio Strega 2024. Come l’autore ha dichiarato il romanzo rappresenta un punto di svolta nella sua carriera, un testo che sembra essere il culmine di una vita di scrittura e riflessione. Proposto da Sandro Veronesi al Premio con la seguente motivazione:
«Ci sono libri così belli da sbalordire. Cos’hanno in più degli altri? Magari l’autore ha già scritto altri libri molto belli, è una figura nota, apprezzata, i suoi punti di forza sono ben conosciuti e la qualità della sua scrittura non dovrebbe sorprendere nessuno: eppure in quei libri lo fa, sorprende, sbalordisce. Perché? Perché tutt’a un tratto sembra che quell’autore sia nato per scrivere quel determinato libro, e che tutti gli altri che ha scritto prima non siano stati altro che un passo per arrivare a scriverlo? Io non so rispondere a queste domande, ma so che ogni volta che apro un libro, ogni santa volta, in cuor mio spero che si tratti di uno di quei libri, così da ritrovarmi ancora una volta sbalordito per la bellezza e confuso in questo mistero. “Invernale” di Dario Voltolini è uno di quei libri. La bravura di Voltolini è nota. La luminosità della sua scrittura è nota. La genialità del suo modo di raccontare il mondo è nota. Eppure nessuno dei suoi libri precedenti mi aveva sbalordito come questo – ed è per condividere il mio sbalordimento che ho deciso di presentarlo per l’edizione 2024 del Premio Strega.» Non si può non condividere questa motivazione, il romanzo è fortemente poetico, la scrittura è alta, evocativa, lirica, contemplativa, in perfetto equilibrio fra prosa e poesia, fra evocazione e precisione. Questo equilibrio tra lirismo e realismo è uno dei grandi punti di forza del romanzo, che riesce a tenere il lettore sospeso tra emozione e riflessione.
Il tema centrale di Invernale di Dario Voltolini è la malattia e la morte del padre dell’autore, Gino, macellaio a Torino nel mercato del quartiere popolare di Porta Palazzo. Il padre aveva 50 anni quando nell’estate del 1982 è deceduto, il figlio Dario ne aveva venti. Per quaranta anni l’autore ha maturato dentro la storia, come una gestazione, ha scritto nella sua mente e nel suo cuore il romanzo, il quale materialmente è venuto alla luce di getto in appena due mesi, giugno e luglio, date in cui ricorrono la morte e la nascita del padre. Così ha raccontato. Come in una jam session, dove tutto sembra facile, scaturire dal nulla, i passaggi causali ed estemporanei, invece quella sessione è frutto di anni di lavoro e di studio.
Il mercato di Porta Palazzo, dove il padre si reca tutti i giorni a lavorare, diventa uno scenario cruciale per la narrazione. Il padre è il grande sacerdote, segue una perfetta liturgia, sacrifica gli animali e che ha grande rispetto per essi. Il mercato rappresenta il teatro della vita, un luogo dove il movimento perpetuo delle persone e delle merci riflette il caos dell’esistenza stessa. Il mercato, descritto con vividezza, ricorda il quadro la Vucciria del siciliano Guttuso, per la varietà di colori della merce esposta, il mezzo animale macellato che pende dalla ganciera, e per la varietà di gente che lo frequenta. Il mercato non è solo un luogo fisico, ma anche un simbolo della vita stessa, che però contrasta con la malattia e la morte incombente. Il sabato mattina, il mercato è affollato, la gente si spinge tra i banchi, eppure tutto questo movimento non può fermare il lento avanzare della morte che si insinua nella vita di Gino. Voltolini racconta questi e altri momenti con un realismo che sembra distaccato, come uno spettatore che nulla può fare per cambiare le sorti dei protagonisti del film a cui sta assistendo, fa emergere la forza della quotidianità, che continua nonostante tutto, come se nulla potesse davvero scuotere l’ordine naturale delle cose, come se tutto fosse ineluttabile. Quello che colpisce nella narrazione è la precisione e l’accuratezza con la quale il padre svolge il suo lavoro di macellaio. Ogni colpo è ben assestato, come un chirurgo ogni suo taglio è accurato, la carne poggiata sulla bilancia ha il peso perfetto al grammo, come se il macellaio riuscisse a pesare la merce con gli occhi. Tutta questa perfezione si sgretola quando si insinua l’errore involontario. Gino, mentre lavora si taglia un dito che però resta attaccato alla mano. Questa ferita segna l’inizio della fine, della lenta disgregazione del corpo del padre. L’equilibrio perfetto si spezza. La pellicola del film si imbroglia, si ingarbuglia, la vita si sgretola. Nulla sarà più come prima. “Scrutando, passo davanti alla soglia della loro camera e mi fermo. Loro due sono seduti sul bordo del letto, sulla sua piazza, quella verso la porta finestra. Una di fianco all’altro, come al cinema. Vedo di scorcio le nuche, perché loro guardano in direzione del pavimento”. Il progressivo deterioramento fisico di Gino viene narrato con una lucidità sconvolgente, e la scrittura di Voltolini riesce a rendere tangibile la sofferenza, senza mai indulgere in dettagli macabri o eccessivamente drammatici. Il padre è cambiato, sente di essere diverso, di pensare e di svolgere azioni che non aveva mai svolto e pensare cose che non aveva mai pensato. «Si tasta. Il collo, dietro. Su verso la nuca. Passa le dita dall’attacco del lobo dell’orecchio verso il pomo d’Adamo».
Il problema non è la ferita e il batterio che da carne è passato a carne, che a un certo punto sembra sconfitto, la carne dell’uomo vince su quella dell’animale. Sono gli esami del sangue che non vanno bene, il numero delle piastrine tende a precipitare inesorabilmente, il padre ha un cancro, un linfosarcoma, che inutilmente cercheranno di curare in Francia e che purtroppo lo porterà alla morte.
“Ma che cos’è l’attesa, questa condizione che è sempre lì sotto le piastrelle ma che poi emerge tutta insieme a un certo punto? Lui non stava in attesa sempre? Non sei stato sempre in attesa di qualcosa, tu come tutti? Adesso però l’attesa, anziché essere una condizione senza contenuto, sta per dimostrarsi incubando dentro la sua pancia un incubo che ha dimensioni che fino a poco tempo fa non si potevano concretamente immaginare. Tu adesso fai sempre le tue cose, nella vita fatta di cose fai le cose. Le cose sono la carne, il tuo lavoro, la carne con cui fai il tuo lavoro, lo apri e lo chiudi e lo riapri, il tuo lavoro di carne, fino al sabato urla, alla domenica che non è un mistero, al lunedì che non si sa. Le cose sono il tempo da aprire e concludere per aprire altro tempo. “
La disgregazione del corpo paterno non è solo una questione biologica, ma diventa anche il simbolo della disgregazione viscerale che accompagna il lutto. Voltolini ci racconta come, mentre il padre si avvia verso la fine, anche il rapporto tra lui e il figlio si trasforma. L’inevitabile distacco diventa una metafora di quel processo più ampio che riguarda ogni essere umano: la difficoltà di accettare la separazione, di fronteggiare il vuoto che la morte lascia in chi resta. Un altro aspetto che colpisce del romanzo è la capacità dell’autore di trasformare il dolore di un’esperienza personale in un’esperienza condivisa da tutti. Il lutto e la perdita sono esperienze dolorose che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare. Il dolore di Voltolini diventa il dolore di tutti noi. Invernale è un libro che lascia il segno, un libro commovente, capace di toccare il cuore.