Guglielmo Aprile Quando gli alberi erano miei fratelli
Quando gli alberi erano miei fratelli di Guglielmo Aprile
Dal sito della casa editrice Tabula Fati
“Questa raccolta si snoda intorno a un unico filo conduttore, perseguito con coerenza tanto a livello tematico che stilistico: il rapporto dell’uomo con gli alberi, esplorato nei suoi ramificati legami con il mito e con la storia delle religioni, si fa spunto per un viaggio lirico nell’universo vegetale, alla ricerca di un’intima comunione tra l’io e lo spirito vivente che pervade boschi e campagne e che in foglie, radici e fili d’erba palpita.
Gli alberi si elevano così a confidenti fraterni e privilegiati, complici di un’avventura esistenziale, testimoni di un dialogo accorato, colmo di nostalgia e deferenza, che l’anima intrattiene con i rappresentanti della loro famiglia: camminando in luoghi appartati, la loro presenza può ancora dare l’illusione di essere vicini ad epifanie e rivelazioni, resuscitando almeno in parte il sentimento primordiale di una consonanza profonda tra l’individuo e la natura.”
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Il tema della raccolta
Il titolo della raccolta riporta immediatamente a un primordiale passato, in un’esistenza dove vigeva un rapporto stretto e diretto con il mondo vegetale, un passato arcaico e ancestrale dove l’uomo considerava la vegetazione circostante non qualcosa al di fuori di se, ma composta dalla medesima sostanza. L’uso simbolico degli alberi è ricco di significato. Gli alberi sono rappresentati come simboli di saggezza, resilienza. C’era un tempo in cui gli alberi erano fratelli dell’uomo, e l’uomo riusciva a intessere relazioni profonde con il mandorlo, la quercia. Gli alberi suscitano nell’uomo sentimenti di stupore e ammirazione. L’olivo è descritto come un vivente che resiste alle avversità superandole con forza e determinazione. Tutti gli alberi sono simboli di saggezza che come maestri silenziosi rappresentano un esempio di vita. C’è un intimo legame fra alberi ed essere umani, una sorta di identificazione, alcuni alberi sono descritti come uomini che si sono trasformati per sfuggire ai tormenti della vita carnale: Le vostre storie raccontatemi, alberi:/non di sostanza vegetale furono/i vostri corpi, ma di carne e sangue,/quando anche voi in sembianze umane un tempo/provaste cosa significhi amare/e quale sia il tormento d’esser vivi. Altri, invece, come esseri sereni e accoglienti. Una raccolta molto particolare per il tema trattato che non è molto frequente. In questa raccolta non si descrive un paesaggio naturale, un bel tramonto, le bellezze del creato, si parla di binomio uomo/albero e di profondo rispetto verso gli alberi, lo stesso rispetto che gli alberi hanno nei nostri confronti donandoci l’ossigeno, la frutta con cui ci nutriamo, i principi attivi con cui ci curiamo, l’ombra per il combattere il caldo, le radici che trattengono il terreno ed evitano le frane. Alla fine senza gli alberi l’umanità perirebbe. Non così gli alberi che piuttosto sarebbero avvantaggiati dalla nostra scomparsa.
La raccolta è composta da sessanta poesie divise in sei sezioni. I versi sono liberi e senza rime. Il linguaggio poetico a volte è semplice, altre più ricco e complesso, ricco di metafore, altre aulico o quasi barocco. C’è una varietà di registro e un cambiamento di tono che tiene desta l’attenzione del lettore.
I testi
Patto antico
Come se mi abbiano atteso da secoli
questi alberi tra le loro schiere
mi accolgono, e uno di loro in me vedono
anche sotto la mia maschera d’uomo;
fare ritorno alla loro famiglia
sa ogni volta di riconciliazione,
ricuce un’alleanza ribadisce
uno strappo rinnova un patto antico –
compensa una quaresima o un esilio.
Calvario degli ulivi
Protendono gli ulivi
esauste braccia tese in una vana
invocazione: il vento è già passato
su questa altura, mentre essi dormivano,
e svanito è l’odore del suo passo;
si contorcono i tronchi
in fiamme indurite straziate,
in lignee lingue atroci
che di enormi scintille nere palpitano;
e una nenia si alza
a intermittenza se una spuma grigia
monta e gonfia il fogliame.
Alberi rocce colline delineano
il ritratto di un volto
antico impenetrabile murato
in una pena muta, inconvertibile
in nessuna lingua agli uomini nota
– doloroso alfabeto, cifre oscure,
sillabe in cui l’estate inscena questa
liturgia di splendore e di rovina
sulle rive del lago, verde altare.
Paradigma dell’albero
Dal seme al frutto dall’uovo alla cellula,
tutto evolve conforme ad un principio
universale, a una legge infallibile;
tutto obbedisce a un ritmo silenzioso,
lo stesso che nell’albero accompagna
le linfe a risalire le radici
immerse nelle viscere del suolo
fino al sommo dei rami che si allungano
come palme in preghiera ad invocare
dal cielo grazie di pioggia e di luce;
e ogni essere cresce bilanciando
tensioni divergenti, opposte spinte,
da un lato attratto dalla gravità
verso la terra profonda, e dall’altro
assetato di altezze, lacerato
tra il richiamo della materia e quello
dell’aria e degli spazi; e tra le due
nostalgie parimenti irresistibili
di sangue e azzurro di istinto e di spirito
cerca il proprio difficile equilibrio.
Ultimi bardi
Dall’alto del suo tripode di rami
una Pizia piumata profetizza,
druidi nel verso degli uccelli parlano.
Qui gli abitanti ancestrali del bosco
si riunirono tante volte, e i saggi
di quei popoli tennero consiglio
ed elessero a proprio tribunale
i più alti tra gli alberi, infallibili
e sacri testimoni, alla cui ombra
sancivano le norme, pronunciavano
verdetti e giuramenti; da millenni
le anime degli antenati riposano
imprigionate nei tronchi – ma ascolta,
un vento si alza, voci si diffondono
incerte, appena un mormorio, dal folto
del fogliame, a intervalli radi, quando
un brivido li scuote: ovunque bocche
occulte si dischiudono, nel canto
del colombo selvatico e delle acque
che scorrono, nel tremolio dell’edera –
favole che il corso del fiume porta
e disperde, parabole che oggi
gli uomini neanche ascoltano, il cui senso
non saremmo più in grado di comprendere.
L’autore
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attual- mente vive ad Ischia, dove si è trasferito per lavoro. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali Il dio che vaga col vento (Puntoacapo Editrice, 2008), Nessun mattino sarà mai l’ultimo (Zone, 2008), L’assedio di Famagosta (Lietocolle, 2015); Il talento dell’equilibrista (Ladolfi, 2018); Elleboro (Terra d’ulivi, 2019); Il giardiniere cieco (Transeuropa, 2019); Falò di carnevale (Fara, opera 1ª classificata al concorso Narrapoetando 2021); Il sentiero del polline (Kanaga, opera 1ª classificata al premio “Arcore” 2021); Thanatophobia (Progetto Cultura, opera 1ª classificata al premio “Mangiaparole” 2021); per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.