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Claudia Ruggeri quattro poesie

Claudia Ruggeri quattro poesie

 

Claudia Ruggeri – Da IL Matto

il Matto I (del buco in figura)

Beatrice

“vidi la donna che pria m’appario

velata sotto l’angelica festa…” (Pg. XXX-64)

 

come se avesse un male a disperdersi

a volte torna, a tratti

ridiscende a mostra, dalla caverna risorge

dal settentrion, e scaccia

per la capienza d’ogni nome (e più distratto

ché sempre più semplice si segna ai teatri,

che tace per rima certe libertà condizionale….).

 

Ma è soprattutto a vetta, quando buca,

dove mette la tenda e la veglia

tra noi e l’accusa, se ci rende la rosa

quando ormai tutto è diverso che fu

il naso amato l’intenzione, che era

la pazienza delle stazioni e la rivolta… e la beccaccia

sta e sta sforma il destino desta l’attacco l’ingresso disserta

la Donna che entra e fa divino ed una luce forsennata

e nuda, e la mente s’ammuta ne la cima

e la distanza è sette volte semplice e il diavolo

dell’apertura; ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa

 

ma cammina cammina il Matto sceglie voce

sa voce, e sempre più semplice chiama, dove l’immagine

si plachi sul tappeto, se dura, se pure trattiene

stranieri nuovi e quanto altro

s’inoltrerà nella carta fughe falaschi lussi

Ordine innanzi tutto o la necessaria Evidenza che si di

verte nella memoria al margine ambulante alla soglia

acrobata, che si consuma; ché infine

veramente il Carro

avanza, che sia sponda manca porge

il volto antico, che si commette (non la cosa

è mutata ma il suo chiarore; ma a voi che vale,

come si conclude la Figura

dove pare e non usa parole né gesti né impulsi

come, smisurata, passa, dove l’altro richiamo

nel viluppo della palude festina e come

per tutto si slarga e frastorna e nulla è mite;

 

(ma voi li turereste mai li nostri fori ?)

*

 

il Matto II (morte in allegoria)

Ninive

 

“Tu ti dai pena per quella pianta di ricino (…) che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei avere pietà di Ninive quella grande città…” Giona 4,10

 

ormai la carta si fa tutta parlare,

ora che è senza meta e pare un caso

la sacca così premuta e fra i colori

così per forza dèsta, bianca; bianca

da respirare profondo in tanta fissazione

di contorni ò spensierato ò grande

inaugurato, amo la festa che porti lontano

amo la tua continua consegna mondana amo

l’idem perduto, la tua destinazione

umana; amo le tue cadute

ben che siano finte, passeggere

 

e fino che tu saprai dentro i castelli, i giardini

fiorire, altro splendore sai, altra memoria,

altro si splende si strega, si ride, si tira

la tenda e libero si mescola alle carte; ma

i giardini si nascondono con precisione

dove cerchi la larva del tuo femminino e l’arresto

l’appartenenza inevitabile

all’Immagine all’inevitabile distensione

delle terre trascorse delle altre ancora

da nominare chiamarle una poli l’altra tutte

le terre perfette alla mente afferrata

di nomi che smodano scadono che portano

alla memoria o la stravagano.

 

(crescono ricini presso ninive

ecco, vedi, come sviene)

 

Da “Inferno minore”

se ti dico cammina non è perché presuma

di parlarti: alla montagna, alla malìa

di milioni di lame, arrivarono a migliaia

cose nude si sparirono bestie, alla neve

al malozio della trappola, tutto

s’esiliava a quel richiamo disanimale.

ma chi nega che in tanta sepoltura

sia avvenuto al pendio un biancore vero

o lo strano brillio che ti destina se la passi,

e pur e pur non sfondi

alla tagliola che non scatta, e più

non stravolge l’inerzia della lettera, ne anche

tiene lo sporco della suola; si noda

tutta al Trucco che l’immàcola, s’allenta,

a tratti s’allaccia cose che muoiono,

solo scali, cose già sganciate…

a te a te altro ti tiene, non la parola,

per te s’alleva una tortura dentro la bara

della Figura, una condanna alla molla

maligna del Carnevale abominevole, alla cantina

cattiva di finisterrae violenta

dove s’aduna, al molo, ogni bestiario

qualunque personaggio, alcun oggetto, per una muta

buia dell’attore, per un aumento in male, per l’alta

fantasia che mi ritorna di tanta cerimonia

incorreggibile, per una benvenuta dismisura, per

me che fui per te senz’anima

e feci un patto al malto

sul seme di un’estate

dove esplose la vena che divina;

che sbotola che lima, per te seppi, se sia l’afrore

o la Macchia del logoro, che cova sul monte

il fondo lo scatto l’inverno del falco.

 

lamento della sposa barocca (octapus)

T’avrei lavato i piedi

oppure mi sarei fatta altissima

come i soffitti scavalcati di cieli

come voce in voce si sconquassa

tornando folle ed organando a schiere

come si leva assalto e candore demente

alla colonna che porta la corolla e la maledizione

di Gabriele, che porta un canto ed un profilo

che cade, se scattano vele in mille luoghi

– sentite ruvide come cadono -; anche solo

un Luglio, un insetto che infesta la sala,

solo un assetto, un raduno di teste

e di cosce (la manovra, si sa, della balera),

e la sorte di sapere che creatura

va a mollare che nuca che capelli

va a impigliare, la sorte di ricevere; amore

ti avrei dato la sorte di sorreggere,

perché alla scadenza delle venti

due danze avrei adorato trenta

tre fuochi, perché esiste una Veste

di Pace se su questi soffitti si segna

il decoro invidiato: poi che mossa un’impronta si smodi

ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.

 

Claudia Ruggeri nasce a Napoli nel 1967. Muore suicida il 27 ottobre del 1996. La sua prima opera,  Inferno minore , verrà pubblicata postuma due mesi dopo sulla rivista “L’incantiere”. Nel 2007 le edizioni Pequod ristampano  Inferno minore  con aggiunta di materiali inediti. Nel 2010 esce  La sposa barocca. Sette saggi su Claudia Ruggeri . Nel 2013 viene pubblicato  Canto senza voce  (Lecce, Terra d’ulivi, 2013) e  Uovo in versi  (ibidem, 2015). Le edizioni Macabor, nel 2019, pubblicano  SUD. Io poeti. Claudia Ruggeri. Oltre i limiti della ragione,  che ospita un’ampia scelta di testi dell’autrice. Una nota di lettura per Claudia Ruggeri appare nel mio  Fuochi complici  (Il Leggio, 2019).