Andrea Zanzotto
da Galateo in bosco
Sonetto di sterpi e limiti
Sguiscio gentil che fra mezzo erbe serpi,
difficil guizzo che enigma orienta
che nulla enigma orienta, e pur spaventa
il cor che in serpi vede, mutar sterpi;
nausea, che da una debil quiete scerpi
me nel vacuo onde ogni erba qui s’imprenta,
però che in vie e vie di serpi annienta
luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;
e tu mia mente, o permanere, al limite
del furbo orrido incavo incastro rischio,
o tu che a rischi e a limiti ti limi:
e non posso mai far che non m’immischio,
nervi occhi orecchi al soprassalto primi
se da ombre e agguati vien di serpe il fischio.
da Vocativo
Idea
E tutte le cose a me intorno
colgo precorse nell’esistere.
Tiepido verde il nitore dei giorni
occulta, molle li irrora,
d’insetti e uccelli s’agita e scintilla.
Tutto è pieno e sconvolto,
tutto, oscuro, trionfa e si prostra.
Anche per te, mio linguaggio, favilla
e traversia, per sconsolato sonno
per errori e deliqui
per pigri zie profonde inaccessibili,
che ti formasti corrotto e assoluto.
Anche tu mio brevissimo nitore
di cellule mentali, tronco alone
di gridi e di pensieri
imprevisti ed eterni.
Ed esanime il palpito dei frutti
e delle selve e della seta e dei
rivelati capelli di Diana,
del suo felice dolcissimo sesso,
e, agra e vivida, l’arsura.
che all’unghie s’intromette ed alle biade
pronte a ferire,
e il mai tacente il mai convinto cuore,
tutto è ricco e perduto
morto e insorgente
tuttavia nella luce
nella mia vana chiarità d’idea.
Caso vocativo
O mie mozzi trastulli
pensieri in cui mi credo e vedo,
ingordo vocativo
decerebrato anelito.
Come lordo e infecondo
avvolge un cielo
armonie di recise ariste, vene
dubitanti di rivi,
e qui deruba
già le lampade ai deschi
sostituisce il bene.
Come i cavi s’ingranano a crinali
i crinali a tranelli a gru ad antenne
e ottuso mostro
in un prima eterno capovolto
il futuro diviene.
Il suono, il movimento
l’amore s’ammollisce in bava
in fisima, gettata
torcia il sole mi sfugge.
Io parlo in questa
lingua che passerà.