Aurora Tamigio, ha vinto con il suo Il cognome delle donne, Feltrinelli 2023, la settantaduesima edizione del premio Bancarella. Al vincitore del premio viene consegnata una ceramica che raffigura un santo spagnolo che di mestiere faceva il libraio, San Giovanni di Dio.
Il prestigioso premio è stato vinto nei decenni passati da scrittori di grande levatura, tra i quali Ernest Hemingway con Il vecchio e il mare, Boris Pasternak, Fallaci, Umberto Eco, nel 2001 è stato assegnato ad Andra Camilleri. Lo scorso anno è stato assegnato a Francesca Giannone per il suo La portalettere.
Aurora Tamigio è al suo primo romanzo ma non è nuova nella scrittura. Scrive cortometraggi, ed è stata seguita da una seria scuola di scrittura come la Bottega di Narrazione di Giulio Mozzi, così come si legge nei ringraziamenti.
Penso che, con tutto il rispetto per le ultime due vincitrici del premio, Francesca Giannone e Aurora Tamigio, fra Hemingway, Camilleri, Eco e le due citate scrittrici ci sia ancora parecchia distanza.
Il tempo è sovrano e dirà, a chi ancora ci sarà, se resteranno nella storia della letteratura come Eco e come Camilleri o verranno dimenticate. Spero per loro che non sia così.
Pare che libro abbia venduto 100.000 copie, senza dubbio un grande successo, pare anche che, attualmente, il genere storie di donne scritte da donne funzioni.
Non c’è nulla di negativo in ciò, anzi ben vengano questi romanzi, avvicinano la gente alla lettura. Inoltre il libro è anche un prodotto commerciale, le CE non sono enti di beneficenza, se non vendono possono chiudere battenti con conseguente perdita di posti di lavoro e diminuzione del PIL nazionale.
Ecco la sinossi del suo Il cognome delle donne di Aurora Tamigio:
All’origine c’è Rosa. Nata nella Sicilia di inizio Novecento, cresciuta in un paesino arroccato sulle montagne, rivela sin da bambina di essere fatta della materia del suo nome, ossia di fiori che rispuntano sempre, di frutti buoni contro i malanni, di legno resistente e spinoso. Al padre e ai fratelli, che possono tutto, non si piega mai sino in fondo. Finché nel 1925 incontra Sebastiano Quaranta, che “non aveva padre, madre o sorelle, perciò Rosa aveva trovato l’unico uomo al mondo che non sapeva come suonarle”.
È un amore a prima vista, dove la vista però non inganna. Rosa scappa con lui, si sposano e insieme aprono un’osteria, che diventa un punto di riferimento per la gente dei quattro paesi tutt’intorno. A breve distanza nascono il bel Fernando, Donato, che andrà in seminario, e infine Selma, dalle mani delicate come i ricami di cui sarà maestra. Semplice e mite, Selma si fa incantare da Santi Maraviglia, detto Santidivetro per la pelle diafana, sposandolo contro il parere materno.
È quando lui diventa legalmente il capofamiglia che cominciano i guai, e un’eredità che era stata coltivata con cura viene sottratta. A farne le spese saranno le figlie di Selma e Santi: Patrizia, delle tre sorelle la più battagliera, Lavinia, attraente come Virna Lisi, e Marinella, la preferita dal padre, che si fa ragazza negli anni ottanta e sogna di studiare all’estero. Su tutte loro veglia lo spirito di Sebastiano Quaranta, che torna a visitarle nei momenti più duri.
Tre generazioni di donne
Tre generazioni di donne, la nonna, le figlie e le nipoti. La triade perfetta. Raramente si arriva alla quarta generazione. La storia inizia in un paesino della Sicilia montuosa dei primi del 900 e arriva quasi ai giorni nostri. Non è specificato se orientale, occidentale, centrale, probabile sia occidentale perché l’autrice è palermitana. Percorre il secolo. In sottofondo si rappresenta la storia, la tragedia della seconda guerra mondiale, le prime riviste di moda, il voto alle donne, l’avvento dell’elettricità nelle case, la televisione, si racconta delle gemelle kessler, del boom economico, le auto, il mondiale di calcio, Londra e la principessa Diana.
Il libro è ben scritto e senza sbavature, si avverte che dietro c’è stato un gran lavoro, è una storia avvincente e interessante così come è stato riconosciuto dai lettori. Il romanzo mi è piaciuto nel suo complesso anche se ho avvertito qualche piccola stonatura. La perfezione non è di questo mondo, e proprio di due leggere dissonanze vorrei dire.
La prima Selma, la ricamatrice
Nonostante i tanti accadimenti e le tragedie, familiari e del secolo, a volte ho avuto come l’impressione di leggere un romanzo in cui non accadeva nulla o se capitava che accadesse qualcosa non ho percepito quella tensione nella narrazione tale da tenermi vigile e invogliata a continuare la lettura, che per questo motivo ho interrotto spesso. Malgrado le avversità, in cui incappano i protagonisti, tutto scorre quasi senza mordente, a volte senza percepirne, a livello di trama, la ragione degli accadimenti. La figlia Selma, senza un motivo apparente, perde di colpo la vista e all’improvviso la riacquista.
Nel reale senza nessun motivo e spiegazione ci accade di tutto e di più, e inutilmente ci chiediamo il perché. La vita continua come se nulla fosse accaduto o ne portiamo per anni i segni, ma il più delle volte il cerchio non si chiude. Invece nella narrativa tutto dovrebbe avere uno scopo preciso, alla fine ogni cosa deve andare al suo posto. Ebbene la perdita della vista, secondo me, non ha cambiato la storia o il personaggio.
La seconda Donato, il prete
Il fratello Donato si fa prete e non si capisce perché. Non c’è un percorso di cambiamento, un logorio, una maturazione, un’apparizione, una conversione tipo Saulo sulla strada di Damasco. Un tizio, che non è mai stato in chiesa a partecipare a una messa domenicale, una mattina si alza e di punto in bianco va dalla madre e dice che vuole farsi prete, afferma che ha ricevuto una chiamata da Signore, senza mettere il lettore nella condizione di capire come, quando e perché, dobbiamo credergli sulla parola.
Femminismo e patriarcato
Sembra una sequela di fatti che si succedono senza una ragione, uno scopo, un nucleo che brucia e che occorre spegnere, la lava che scende dai lati del vulcano e che bisogna fermare, il cattivo da sconfiggere, uno scoglio da superare, una tempesta da sedare, un messaggio sociale forte. Chiaramente quest’ultimo è presente ma non coinvolge, è probabile che tutto ciò sia voluto dall’autrice per evitare di scrivere un romanzo che metta troppo l’accento sul femminismo e sul problema del patriarcato, evitando di politicizzare troppo il romanzo, ha cercato di equilibrare il tutto ponendo l’accento sui complessi rapporti familiari.
Il preferito: Santi Maraviglia
Fra tutti i personaggi presenti nel romanzo, tutti ben delineati, mi è piaciuta molto la connotazione della capostipite Rosa e di quel filibustiere di Santi Maraviglia dove anche il suo cognome è indicativo della sua nullità di uomo, come si dice in siciliano Santi era davvero “na maravìgghja ra natura” che in siciliano non significa meraviglioso ma il suo contrario, qualcosa che impressiona così come in effetti tutti si impressionarono quando Santi luccicava come un vetro e invece era un uomo che non valeva nulla. Il cognome però assume un’importanza rilevante quando Marinella afferma che preferisce chiamarsi con il suo cognome Maraviglia, il cognome del padre invece che quello del marito. In ogni caso si tratta sempre del cognome di un uomo.
A mio parere la migliore scelta sarebbe utilizzare i due cognomi, del padre e della madre. In conclusione Il cognome delle donne di Aurora Tamigio mi è piaciuto.
Ne jàbbu e mancu maravìgghja
Comunque sia io non mi faccio ne jàbbu e mancu maravìgghja di niente e nessuno, neppure di Santi Maraviglia perché “u Jàbbu arriva, a jastìma no”.
notizie di Aurora Tamigio
Aurora Tamigio è nata a Palermo nel 1988 e cresciuta a Milano. Successivamente alla laurea in storia dell’arte contemporanea, ha studiato sceneggiatura cinematografica. Dopo aver lavorato come autrice freelance per il cinema, oggi è copywriter e scrive per aziende del mondo della tecnologia e del design.
È caporedattrice del magazine di informazione cinematografica Silenzioinsala.com e scrive cortometraggi (L’incontro, Homefish, Signorina Forsepotevo). Alcuni dei suoi racconti sono pubblicati su “La Balena Bianca”, “Crack Rivista” e “Il rifugio dell’Ircocervo”. Il cognome delle donne è il suo primo romanzo, pubblicato da Feltrinelli nel 2023, e vincitore nel 2024 del Premio Bancarella.